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L'avevo detto che
con la riduzione delle uscite annuali de LA SENTINELLA (due soli numeri)
sarebbe stato più complicato star dietro alle novità dei libri. In Maremma
ormai si pubblicano diverse cose e segnalarle qui dopo diversi mesi
perdono di freschezza. Dunque mi domando (e chiedo ai lettori) se ha
ancora senso questa rubrica...
Però qualche suono lontano di quel che è stato prodotto in provincia, una
voce che parla di libri e di scrittori forse restituisce la conoscenza di
quel che si muove negli spiriti inquieti di chi vuol dire la sua. Allora
per pura informazione aggiungo che ha di nuovo avuto luogo, a Luglio 2004,
la quarta edizione della mostra "Marina Libri" e a Settembre, a Pitigliano,
il secondo "Festival internazionale della Letteratura resistente" (con la
straordinaria presenza del poeta americano Gary Snyder); poi qualche
presentazione e così via. Vuol dire insomma che lo scenario dell'editoria
locale (o di chi investe sulla Maremma) si arricchisce e si fa vedere.
Cari lettori, quello però su cui mi soffermerò rappresenta poca cosa
rispetto ai libri che escono e/o sono usciti.
Confermo quello che ci siamo detti tante volte rispetto alla difficoltà
nel reperire i libri aggiungendo che continua ad essere quasi impossibile
sapere, ad esempio, cosa pubblicano gli Enti locali. E siccome tante case
editrici locali distribuiscono le loro edizioni in aree ristrette del
territorio, sottolineo anche qui la difficoltà a trovare qualche titolo.
Tanto per dirne una: mi è capitato, per un caso, di conoscere un librino
piacevole andando d'estate all'Isola del Giglio. Vale la pena parlarne. Si
tratta de:
"I ricordi dell'Abà" di Mario Bancalà, editrice Effequ di Orbetello
È un libro di una settantina di pagine scritte da un ex contadino gigliese
che "ancora va in giro col paniere e non con la borsa di plastica del
supermercato" scrivono nell'introduzione quelli del Circolo Culturale
Gigliese. Una prosa scarna, essenziale, che ricorda il linguaggio parlato,
ma soprattutto ci ritrovo una immagine precisa delle condizioni di vita di
tanti anni fa. A partire dalla scarsa scolarizzazione filtrata dai
ricordi, l'autore racconta di aver frequentato solo la quarta elementare
interrompendo gli studi per aiutare il babbo nei lavori di campagna. La
sua storia è comunque comune a tanti ragazzi dell'isola e del continente.
Bancalà ci parla poi della solidarietà, dei rapporti interumani che la
miseria rendeva più stretti: "ho visto raccogliere soldi per il paese per
portare qualcuno all'ospedale..." , dice.
"Secondo me le stagioni sono cambiate di molto: quando ero ragazzo
venivano forti gelate che gelavano perfino il mare". Si ha un bel dire
oggi della stagione fredda... Anche i fatterelli vengono descritti
disegnando quadretti di vita e non si fermano solo al ricordo. Chi
racconta esprime propri giudizi e consente di capire il costume della
gente dell'isola, le usanze, i giochi dei ragazzi, i loro comportamenti,
compreso la scoperta della propria sessualità.
Le attività economiche del Giglio si sono basate a lungo sull'agricoltura,
sugli allevamenti e la pesca, ma anche sull'attività estrattiva con le
miniere e le cave di granito: "le maggiori attività lavorative erano
agricoltura e cave di granito, doppo venne la miniera di pirite a Campese".
La ricchezza di una pubblicazione come questa, secondo me, sta nell'aver
fissato, attraverso la memoria, notizie introvabili nei documenti. Ad
esempio viene accennato ai comportamenti nel fare l'olio e il vino; la
coltura dei vigneti variava in rapporto alla loro collocazione nell'isola
con differenti qualità d'uva. Vengono elencati in proposito addirittura 14
qualità di vitigni.
Leggendo insomma queste pagine si avverte appena una vena di nostalgia per
il passato che comunque viene messa in relazione ai rapporti fra la gente
dell'isola, al sentimento d'amicizia e all'aiuto reciproco. La
consapevolezza che il progresso abbia garantito un migliore tenore di vita
non fa rinunciare a questo autore di professare un proprio atteggiamento
ecologico e di rispetto della natura preferendo ancora il paniere alle
borsette di plastica.
I Veneti di Maremma - Storia di una migrazione di Paolo Nardini - Massimo
De Benetti, Fotografie di Giovanni Bredariol - Edito da Archivio
Tradizioni Popolari della Maremma
All'Alberese la strada arriva sino al mare. Anzi no! È il mare che è
arrivato alla strada mangiando la spiaggia e una parte di pineta che è
sparita nell'acqua. L'immagine del mare che modifica lo spazio
circostante, con un'inesorabile lavorio delle acque, rende bene l'idea del
cambiamento avvenuto anche nella memoria del secolo trascorso. Per fortuna
rimangono le immagini. Le fotografie. È lì che si disegna la storia della
comunità dei veneti venuti all'Alberese a partire dal 1930. È stato
Giovanni Bredariol (un contadino veneto con la passione della fotografia)
che ha saputo cogliere momenti legati alla vita di lavoro e ai rari
episodi cerimoniali. Il libro, introdotto da Giovanni Contini, restituisce
proprio attraverso le immagini, uno spaccato che fa vedere i protagonisti
della trasformazione territoriale come fossero monumenti nel paesaggio.
Dunque la natura di per sé muta torna a parlare con la voce di uomini e
donne, parla con il cuore di quelli che hanno contribuito a trasformarla
modellandone gli spazi fisici ed anche il tessuto culturale attraverso il
lavoro e le attività del tempo libero. Oggi all'Alberese i Veneti sono
completamente integrati in quel territorio; questo libro di Nardini e De
Benetti ce li fa conoscere com'erano presentando l'argomento con una
preziosa nota introduttiva e le immagini fotografiche corredate di piccole
testimonianze.
Va detto che questo libro, pur essendo prodotto da un Ente pubblico ( il
Comune di Grosseto), si trova anche in alcune librerie grossetane.
"Cocci e fischietti - l'arte di Luigino Porri nel solco della tradizione"
a cura di Gerardo Morandi
Questo libro non ha editore, però è un bel libro.
L'introduzione l'ha scritta Romualdo Luzi, studioso e ricercatore attento
delle usanze popolari, il quale sottolinea la preziosa testimonianza
raccolta in questa edizione sui fischi tradizionali, sulle loro forme e
sugli usi (giocattoli, portafortuna, oggetti magici, pegno d'amore ecc.).
Dunque questo oggetto d'arte popolare fittile diffuso in area veneta e
pugliese, ha radici profonde anche nella zona del tufo dove ha avuto
grande importanza l'attività ceramica dell'area soranese. Il libro curato
da Gerardo Morandi "costituisce una testimonianza preziosa e meritoria
sulla conoscenza di un aspetto di una antica tradizione popolare che
rappresenta a tutti gli effetti un bene di cultura materiale da
salvaguardare" scrive giustamente il Luzi.
La ricerca compresa in questa edizione ci fa conoscere l'uso dei
materiali, ci parla degli artigiani della terracotta, delle tecniche di
costruzione e della tipologia dei fischietti; ma, soprattutto, pone al
centro una storia di vita che riguarda Luigino Porri di Sorano, uno degli
ultimi cocciai che hanno proseguito la tradizione facendo arrivare sino ai
giorni nostri questa arte. La storia dei cocciai di cui si occupa Morandi
in questo libro riguarda un'area vasta che comprende Sorano, Pitigliano,
Acquapendente, Tuscanica, Vasanello, Vetralla.
Fra le altre cose l'autore ci propone un catalogo dettagliato dei
fischietti suddiviso per zone facendo percepire il lungo cammino di questo
strumento che va dalla preistoria alla civiltà contadina passando per gli
Etruschi e il medioevo.
"La funzione ultima dei fischietti, prima di essere considerato un
soprammobile e poi un oggetto da collezione, è stata quella di giocattolo
per i bambini legato ad un ambito festivo", sottolinea Morandi.
Questa ricerca ha dato luogo ad una mostra sui fischi che è stata
allestita - da Ottobre a Dicembre del 2004 -al Palazzo Pretorio di Sovana
(Sorano).
Ricca di notizie e di curiosità è insomma una pubblicazione che
incuriosisce e fa il punto sull'argomento. Fra l'altro nel 1982 Roberto
Ferretti realizzò a Grosseto una mostra dal titolo "Ciufoli, fischietti e
samprugne".
È forse venuto il momento di riparlarne? A qualcuno fischieranno
sicuramente gli orecchi.
"Il racconto di Roccalbegna - un paese tra la montagna e il mare" di Gilia
Pandolfi e Marisa Raffo
Editore Associazione "Cella Sancti Miniati"
Gilia Pandolfi e Marisa Raffo sono una coppia consolidata per la ricerca
nel territorio di Roccalbegna. Hanno già pubblicato un bel libro sulla
cucina che ho segnalato tempo fa ai miei lettori (si fa per dire). Anche
in questo libro le autrici riescono ad "ottimizzare la continuità tra
passato e futuro" facendo risaltare come nel passato il territorio
roccalbegnino fu via di comunicazione fra la montagna e il mare e come
oggi la vita di una comunità dipenda dalla propria identità e dalla
riscoperta delle tradizioni.
Spaziano dai prodotti alimentari (la sagra del biscotto e del melatello)
al recupero di certe tradizioni musicali, alla rivisitazione di una natura
incontaminata come quella del Bosco di Rocconi o della Riserva del
Pescinello, e giù giù fino alla mostra di grafica degli Ex Libris, (giunta
alla settima edizione) che oggi si pone come presenza davvero originale.
Il libro è suddiviso in più parti. Particolarmente gustosa è quella
intitolata il Serpente Regolo dove le autrici ci riportano al clima delle
veglie: "Il patriarca si sedeva davanti al camino, le mani tese verso la
fiamma, i bambini sul muricciolo caldo" scrivono, facendo galoppare
l'immaginazione con le cavalcate, i maghi, le fate...Leggende note come la
Bella Antiglia si alternano con altre meno note o sconosciute. Il clima
che ci fanno rivivere è quello di una società organizzata e funzionale
alla cultura orale che tramanda - attraverso il racconto - modi di essere
e di pensare, virtù e difetti dell'animo umano, cioè la vera storia dei
sentimenti impalpabili eppure presenti nel ricordo di chi le scrive.
Anche la poesia popolare con le filastrocche, le ninne nanne i salterelli,
le conte e tante canzoncine viene trascritta con cura e salvata dalla
dimenticanza.
C'era una volta/ un uomo e una donna,/ che andavano alla Madonna/
co' 'n panierino in capo/ m'abbia a rifà da capo?
Ci fosse più spazio ci sarebbe da rifassi da capo per scrivere ancora di
questa pubblicazione che ha comunque il merito di aver riproposto
un'infinità di materiali di notevole interesse arricchito dalle immagini
grafiche degli ex Libris che lo rendono ancor più prezioso.
POTASSA - storie di sovversivi, migranti, erranti, sottratti alla polvere
degli archivi
di Alberto Prunetti - Stampa Alternativa
a cura di Corrado Barontini
Quella di "Potassa", per come la presenta Alberto Prunetti, autore del
libro, sembrerebbe una storia inventata. Invece no. "Uso le fonti senza
citarle per mancare di rispetto al rigore dell'Archivista" scrive Prunetti.
E in questa sua dichiarazione c'è qualcosa di oscuro; ma si sa i letterati
fanno così: rubano e rendono a modo loro il senso di una storia.
Quella di Potassa è storia vera come vero è il nome della località
maremmana, già stazione ferroviaria di Gavorrano, posta sulla via Aurelia.
Qua e là l'autore fa capire che nel suo racconto c'è la verità. Intanto dà
una data di inizio agli eventi che narra: 13 Luglio 1921.
I fascisti scorrazzano nella Maremma sollevando polveroni con i loro
autocarri motorizzati e dando manganellate e olio di ricino per affermare
una violenza senza ragione. Però ci sono i sovversivi, gli anarchici, i
comunisti (che da poco a Livorno si sono separati dai socialisti), c'è chi
tenta di sbarrare la strada a questi nuovi signori del terrore. "Un
barrocciaio si è messo di traverso alla strada e impedisce il passo agli
italianissimi.".
Feriti veri e "ferite" che non sanguinano ma rompono i legami con la
società civile. È la storia di Domenico Marchettini detto il "ricciolo",
di Curzio Iacometti detto "il prete", di Chiaro Mori, di Giuseppe
Maggiori, di Umberto Lanciotti... evvia evvia. Nel libro incuriosisce una
sorta di testimonianza che parla dei "nerocamiciati", è una testimonianza
informata, una voce fuoricampo a cui l'autore si affida per legare le
storie. E c'è pure "un pezzo di pagina" con un 'intervista al poeta-
contadino Lio Banchi che parla di Chiaro Mori, il disertore della "Banda
del Prete". Si dice che anche Chiaro Mori fosse poeta estemporaneo anche
se di lui non è rimasto nulla. Solo una battuta ai carabinieri che lo
cercavano e chiedono proprio a lui se lì c'è un certo Mori. E Mori a
sangue freddo rispose, con tipica ironia maremmana "Quando c'ero c'era,
ora 'un c'è più". E se ne andò.
I boschi della Maremma del primo novecento nascondono i sovversivi,
renitenti alla leva, banditi.
L'autore arricchisce la storia che racconta decidendo di "romanzare" le
fonti orali, offrendo qua e là il resoconto di documenti d'archivio,
sicuramente interessanti, aggiungendo però di sana pianta la vicenda di un
torturatore argentino (come afferma nell'introduzione).
Ecco dunque il libro che si fa racconto, invenzione letteraria, ponendo al
centro la storia di personaggi veramente vissuti in questa terra: "Storie
che si intrecciano, rivolte che esprimono un'inesauribile voglia di vivere
e una irrequieta tensione che inevitabilmente si scontrerà con la realtà e
i poteri costituiti".
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